martedì 30 settembre 2014

HANDS

Scrivo a due mani perché quattro non le ho.
Ho quattro occhi, ma neppure servono sempre.
Scriviamo qualcosa insieme, hai detto.
Ma come posso?

Una storia non la so inventare. So iniziarla, certo, ma quando ti concentri troppo sulle trame allora i fili si animano e prendono il sopravvento su tutti gli sviluppi che avevi ipotizzato.
Una storia no, che mi perdo tra i dialoghi e tutte le parole che avevo pensato non sono certa di averle soltanto scritte.

Esattamente.
Questo hai detto.

Le storie andranno come devono, io le filerò da qui e tu farai ciò che vuoi dal tuo altrove.
Mi piace essere il fuso che rende meno grezze le narrazioni. Mi piace pensare che quei gomitoli nascano da me o mi si strofinino accanto come zucchero filato.
Con due mani, le mie, che quattro ingombrano.
Quattro sono troppe sempre.
Io non so come si gestiscano due mani in più che si presentano al momento inopportuno.

Se non ci sei quando ti domando, e poi arrivi pretendendo non so quale sia lo spazio che ti spetta.
Non il mio foglio bianco, che è un dono prezioso e spaventoso insieme.
Sono sempre stata convinta che l'importante non sia avere tutti i dettagli chiari già prima di partire.
L'importante è poggiare la penna e imprimere il candore. Quella forza generatrice contiene il potenziale per innescare reazioni a catena.

Le mani sono solo mie, le storie anche e la pioggia di fogli la contemplo in pace.
E mi perdo a fantasticare sui nomi che intimamente raccontano il destino di chi li indossa ignaro.




mercoledì 24 settembre 2014

Summertime sadness

Mi sono persa.
Persa nell'estate.

Quella pigra che non ha concesso nulla come una donna che promette.
Quella vera, cercata altrove.

L'estate dal mare blu come infinito.
L'estate che scalda dentro e fuori, secca la pelle e sa di sale.



Il sale deposita, disegnando arabeschi sulla pelle all'uscita dall'acqua, così come il ricordo del sale ne segna linee di taglio a pochi giorni dal rientro. Sono segni di rottura dai quali il mare si cancella, si alza con forza dall'epidermide e ci consegna all'autunno.

L'estate è un periodo di indeterminazione.
Una pausa.
Una sospensione di giudizio.
Un alibi che permette alle cose di scivolare via come meglio credono senza forzature e senza recriminazioni.



L'estate dura una manciata di giorni, è più una condizione psicologica che non una stagione, per questo motivo lasciarla ci affligge.
La malinconia che ci pervade nel rientro è il dolore di chi si arrende al dover crescere ripetuto ciclicamente.