giovedì 27 febbraio 2014

Quest'amore è una camera a gas (Fotoromanza)

Ho sempre vissuto le mie emozioni con grande teatralità.
Sin da piccola, qualsiasi istinto primordiale diventava gigantesco, meritevole di lacrime, lamenti ed una interpretazione drammatica sempre degna di oscar.
La sindrome della protagonista mi ha fatta prigioniera subito, ed immediatamente mi sono scontrata con la dura realtà e l'impossibilità di essere la prima donna universale. Porkaeva!
Il vero casino è successo quando, crescendo, l'amore (o presunto tale) s'è affacciato nella mia vita.

Mi sono sempre fatta ipnotizzare dal dettaglio.
Sono vittima del dettaglio.
Della parola ricercata buttata con nonchalance al momento giusto.
Del riccio scomposto che si cala ostinatamente sulla fronte.
Dei gesti che non sai di compiere ma fendono l'aria in maniera così perfetta.

Invece di ricevere ripetuti TSO, me ne sono rimasta a piede libero a gonfiare deliberatamente queste inezie fino a farle diventare fondamentali per un vivere appagante.
Non sono capace di non magnificare estremamente le situazioni, le persone, i panini e le telefonate che regolarmente inciampano nella mia esistenza. Sono un megafono, sono un amplificatore sensoriale, un fottuto lievito, una shakerata di cocacola.

Per mia grande fortuna, però, riesco a riacquisire lucidità rapidamente; ed allora mi trovo davanti un esercito di soufflè mal cotti, torte ingobbite assolutamente crude dentro, e grissini bruciacchiati. C'è da ridere e riderne di gusto.
E' come osservare rapiti la sinuosa movenza di una medusa in acqua, per trovarsela poi spiaggiata a fine bagno. Il ritmo regolare del ventaglio di tentacoli, le trasparenze di velluto, le sfumature incredibili di colori così invitanti sono poca cosa davanti alla carcassa disidratata e già odorosa cozza avvizzita.

Mi consolo ritrovando la ragione con l'arcobaleno, come premio manco fosse la pignatta piena d'oro. Certi meccanismi mi mettono in salvo, in qualche modo affatto comprensibile, mi danno la dose di fiction necessaria per sentirmi dolcemente complicata. Ho studiato affondo il problema e so definiro scientificamente.

Sono gli amori-peto: quelli che passano finito il rumore.



lunedì 24 febbraio 2014

Grazie dei fior

Ho questa sorta di attrazione fatale per la kermèsse fiorita, chi mi frequenta-social nei giorni scorsi se ne sarà sicuramente accorto.
Non so esattamente come sia nata questa mia mania; forse tra i trentatrè di nonna, o forse tra i testi in anticipo nel copioso inserto di sorrisi. In ogni caso tanto, tanto tempo fa.

Quest'anno Sanremo ci ha offerto uno spettacolo stanco, dalla conduzione svogliata, dalle battute mosce.
Forse l'italiano medio non ricorderà neanche gli ospiti, fatto salvo per il Lucianone Ligabue che ha letteralmente fatto spellare le mani agli astanti.
E per il popolare Renzo Arbore il cui abbandono di palco temevo sarebbe stato provocato da spari ad altezza gambe.
E l'immenso Gino Paoli chiamato a dare lezioni di stile intramontabile.
Mi sento di salvare tutta la vita Damien Rice, e il mio adorato Paolo Nutini insieme a Rufus Wainwright sfuggito miracolosamente da un linciaggio mediatico sponsorizzato dai papaboyz. Certo questo tris rimane poco noto tra le casalinghe di Voghera, ma questo è stato un festival atipico.

Non ho amato nessuna canzone e, di fatto, non può essere una vittoria per nessuna manifestazione musicale.
Il mio impegno costante in questi giorni è stato quello di sottolineare ed esasperare tutti i particolari degni di nota.

Continuo a non capire il significato di una serata-tributo alla musica italiana in cui i big in gara, come tornando agli anni di gavetta, si cimentano in cover fedelissime ma mai all'altezza. Sanremo dovrebbe essere una sorta di reparto ricerca e sviluppo della musica italiana, invece si perde nella celebrazione di un partimonio culturale troppo pesante per essere superato.

Mi cimento in un pagellino di alcuni brani, giacchè ci siamo:

Gualazzi/Beetroots: un mix letale tra zucchero e sisteract -ma più incantabile- con un pizzico di soo-le-maney.
Arisa: inutilmente radiofonica.
Noemi: sguaiatamente convinta di trionfare, con una canzone tossita con la grazia di un masticatore di tobacco.
Palma: prevedibilmente orecchiabile ed immancabilmente retro'.

Il resto, giuro, non me lo ricordo.
So che Rubino aveva la mia approvazione ed i Perturbazione anche, ma soffro di amnesia musicale.

A discapito delle canzoni neppure troppo obsolete, voglio ringraziare di cuore quei meravigliosi ninnoli che hanno allietato le mie serate.
In ordine sparso:
  • le poppe di Arisa;
  • la manicure con base trasparente di Sarcina;
  • il baffo -apparecchio- placcato oro che Noemi ha usato a mo' di collana la prima sera;
  • i tailleur sbagliatissimi della Ruggiero (sì, ci vuole la i);
  • il parrucchino di Ron ton sur ton con sopracciglia e fondotinta;
  • Renzie, fuori gara ma presentissimo;
  • la Mannoia, troppo sexy per una serata di pianobar;
  • Palma e il miracolo della vista ritrovata;
  • il Repetto dei Tiromancino, Riccardo Sinigallia.







giovedì 13 febbraio 2014

Get on board

Quando ero piccola avevo alcune certezze incrollabili.
La prima era che da grande sarei diventata una principessa, ma se ciò non fosse stato possibile avrei volentieri fatto la cassiera alla coop.
La seconda era relativa alle mie doti artistiche: ero certa che il mio sarebbe stato un futuro ricolmo di musica e di ballo.
La terza é la convinzione che ciò che il mio prossimo fa sia anche nelle mie possibilità.

Di questi tre capisaldi qualcosa s'è avverato, qualcosa no; per inciso, sto ancora cercando di diventare cassiera al supermercato.

Ci sono alcune situazioni, alcune fantasie ed alcuni personaggi che incidono profondamente sui percorsi di crescita.
Per me è stata di fondamentale importanza Shirley Temple (non me ne volere Raffaella, ti dedicherò un post). Se dovessi oggi analizzare la figura della diva bambina, dovrei riconoscere che la sua fama precoce, i sentimenti su cui faceva leva e gli atteggiamenti inappropriati che l'hanno resa famosa sono stati dannosissimi e precursori di alcune piaghe sociali che prolificano anche oggi.
All'epoca però non ne sapevo nulla e mi bevevo adorante tutti i suoi film sognando il tip-tap. Ricordo paia e paia di scarpette in pelle lucida. Ricordo tentativi goffi ma tenacissimi di imitare allo specchio i movimenti. Ricordo anche mille segni di gomma nera sul parquet della camera dei miei genitori. E mio padre che per scherzarmi diceva "non è una bambina, è una nana di trentacinque anni".
Oggi i trentacinque anni li accetterei; e poi non é vero pà, ti stai confondendo con Arnold.
E anche la precoce invidia del ricciolo d'oro è accettabile se rapportato a quella condizione serena di magica porporina nella quale per mano mi conduceva Temple ogni volta che affacciata al piccolo schermo mi commuovevo per le storie di miseria di cui era sempre protagonista. Mi indignavo per i soprusi dei fratellastri, per gli abbandoni subiti -alcune storie erano da segnalazione al telefono azzurro-, mi incantavo davanti alle coreografie.

La realtà Shirley è che probabilmente ti saresti divertita di più se fossi stata una mocciosa qualunque come me, ma non posso che ringraziarti e detestarti allo stesso tempo per i sogni di gloria con i quali hai plagiato la mia giovane mente.


lunedì 10 febbraio 2014

Time to pretend

Il tempismo non esiste.
E' una mia convinzione da sempre e oggi sono pronta a ribadirlo, nonostante questo mio assunto abbia vacillato un poco.

Il tempismo è una montatura.
E' una scusa pronta con la quale si giustificano spesso scelte. Anzi, è una giustificazione dietro la quale ci accomodiamo per non scegliere mai.

Se esiste una possibilità, ignorarla ed andare avanti pensando che "non sia tempo" non è la soluzione.
Il "tempo" non è rimandabile.
Certo, è molto più difficile ammettere di non volere qualcosa, essere sinceri anche con se stessi scontenta. Non esiste situazione senza alternativa, ma decidere è difficile, stancante, bisogna prendere in considerazione la possibilità di essere in errore e quella di fare molta fatica.

Scrivo questo per me stessa, per ricordarmi sempre che la variabile "tempo" non è una risposta accettabile.
L'ineluttabilità del conseguente susseguirsi degli eventi non è una risposta accettabile.
Siamo eseri pigri ed abitudinari, ritenerci responsabili è un peso troppo grande da accettare per noi turisti della vita.

Abbiamo deciso di ignorarci, di non ascoltare noi ne gli altri; e quando le cose prendono una piega inaspettata bisogna riabilitarsi, leccarsi le ferite, calmarsi e darsi tempo per essere nuovamente in grado di capire chi siamo e dove vogliamo andare. Salvo scordarsene subito.


Intanto il tempo corre.




lunedì 3 febbraio 2014

Un cocktail d'amore

Il web è un ricettacolo di ottimi consigli non richiesti.
I consigli non richiesti si allineano e proliferano come miuscoli microrganismi fino a prendere forma, l'inconfondibile forma del blog.

Tra i blog, i fashion sono il massimo nel tratteggiare vite al limite del plausibile.
Giorno dopo giorno vengono esposte tutte le struggenti problematiche tipiche di quelle donne che non riescono a prepararsi in meno di due ore; quelle chimere che usano almeno tre creme viso, una base trucco, un primer, un toner, un fondotinta, cipria e fixer; quelle che vanno in ufficio col tacco dodici e riescono a programmare nella giornata almeno un paio di ritocchi al makeup.
Non sono sicura di aver mai visto qualcuno di così equipaggiato. Se questa gente esiste veramente, certo neppure i sette gradi di separazioni le rendono vicine ai miei circuiti.

La settimana scorsa, mentre ero intenta nel cercare "immagini evocative" sono incappata in un interessantissimo articolo tema cocktail (qui).

"Fatti in un momento della giornata in cui si è soliti staccare dal lavoro, si arriva spesso a pensare che ci si possa presentare reduci di tutta la giornata. Nulla di più sbagliato. Il momento del cocktail è un momento in cui si dovrebbe sognare. Dunque, se proprio non potete cambiarvi, assicuratevi almeno di essere pettinate, ben truccate, profumate, rinfrescate."

L'ansia.
 
Posto che il concetto di "staccare dal lavoro" spesso e volentieri non è detto che coincida -ahimè- con l'orario aperitivo, il fatto che una volta varcata la soglia dell'ufficio io possa essere "pettinata, ben truccata, profumata e rinfrescata" è una ipotesi altamente improbabile. 

Forse perchè il fondotinta a metà mattinata ha già abbandonato la mia faccia per finire fisso ad imbrattare il bianco candore della mia tastiera di design.
O forse perchè il kajal mi cola fin sulle gote e se solo potessi rosicchiare uno stelo di bambù sarei la perfetta controfigura di un panda gigante.
Forse perchè tutte le volte che cerco di sembrare una "signorina" qualcosa va storto ed allora inciampo, mi macchio con il pranzo o come minimo mi rincalzo le mutande nella gonna.

E poi l'uffcio è spesso scazzo e lo scazzo è quanto di più lontano ci sia dal sogno.

Il sogno me lo porto da casa.
Ed è comodo, impigiamato, soffice e rotondo.
Non abbiamo bisogno dei balli, abbiamo smesso di sentirci cenerentole fiammiferaie.

Il sandalo gioiello è più finto del tesoro di Willy l'Orbo.
Il tacco duole.
Al tacco preferisco il tacchino. Con le patate.

Un altro cocktail, prego.