sabato 15 novembre 2014

L'omino dei selfie

Internet insegna che credersela e raccontarsela, aggrappandosi indefessamente alla propria autostima, sono metodi di infallibile successo.
Così per essere bellissima basta credere e raccontare di essere bellissima; poco a poco gli altri iniziano ad accorgersi di questa evocata bellezza e a sostenerla fermamente.
A parte qualche #epicfail il risultato è garantito a patto che non siate cessi fotonici e che la fede in voi stessi non vacilli mai.

Se davvero vi interessa essere ricordati come les plus beaux e allora forse siete tra le pagine sbagliate.

In ogni caso, esistono persone che costruiscono il loro profilo telematico con il chiaro intento di comunicare la propria sopraffina fisicità, e per perseguire questo scopo mettono a punto delle vere e proprie strategie di bombardamento fotografico.



Non è mia intenzione giudicare questo tipo di approccio al magico mondo del vuvuvù e non lo farò tra queste righe. Vorrei piuttosto porre l'accento sull'incredibile lavoro di scatti che queste persone compiono ora dopo ora.
Mi immagino signorine perfette, con le unghie laccate, che vanno a zonzo per il centro cittadino, munite di borse ingombranti dalle quali al momento più opportuno tirano fuori piccoli uomini addetti ai selfie; gnomi senz'ascia ridotti in schiavitù, alti come puffi  duemeleopocopiù che risvegliati da un sonno in Vuitton rotolano fuori dal secchiello griffato e si posizionano con lo smartphone pronto allo scatto.
L'omino del selfie.
Perchè quelle che sono belle davvero non accettano uno scatto deformato in cui si possa intravedere un braccio che appare meno che perfetto.
L'omino del selfie.
Perchè il bastone è da nonni o sportivi o poveri.



L'ometto deve seguire direttive severissime: sa qual è il profilo migliore della sua padrona e quali sono le inquadrature da evitare. L'omino deve essere sempre pronto a sbucare dalla borsa perché qualsiasi momento potrebbe essere perfetto per una foto. Non so, non sono sicura.. ma un buon ometto dovrebbe poi avere un minimo di nozioni di trucco o almeno tamponare la propria bella con una carina anti-lucido prima di scattarle una pic.

Questo mi immagino.
Me lo immagino con un pile addosso e la febbre.
[Per me c'è sempre voluta troppa costanza per essere perfetti, per avere capelli perfetti, trucco perfetto e il vestito giusto]

L'omino dei selfie.
Perché deve esistere una figura professionale diversa dall'amico disoccupato o morto di figa che tutti i giorno segue la bella consegnando alla storia tutti i suoi cambi di look. E perché diversamente essere amico della bella sarebbe un inferno. O un lavoro.
E perché fondamentalmente chiunque alla terza proposta di scatto nel giro di dieci minuti sarebbe legittimato a mandare a fare in culo il richiedente.

[io mi sentirei stupida ed impacciata al primo mifaiunafoto]







venerdì 7 novembre 2014

Blue. La spunta.

Whatsapp è il principale responsabile delle crisi di panico nelle ultime 48 ore.
Tanta agitazione è riconducibile all'inserimento della funzione che consente di sapere se il messaggio inviato è stato effettivamente letto dal destinatario.
Gli articoli su blog e siti d'informazione si stanno moltiplicando minuto per minuto, si è corsi ai ripari per capire come aggirare il problema e per negare la certezza al mittente del messaggio; abbiamo stilato decaloghi, consigli, spoiler, alert e chi più ne ha più ne metta (qui i suggerimenti de Il Post) ma a me sfugge ancora una cosa fondamentale: Whatsapp non è nato per recapitare messaggi? 
Tutto quello che ci passa per le mani giornalmente è un veicolo per rispondere alla nostra innata necessità di comunicare.


 Inizialmente era comunicazione verbale, poi le informazioni hanno cavalcato i media espandendosi ed amplificandosi; infine tramite la tecnologia ci siamo lasciati schiacciare dalla comunicazione.
C'è chi pondera cosa condividere.
C'è chi è avido di sé e non concede nulla, ma comunque questa social per mangiare la merda che gli altri spammano.
C'è chi semina tutto il giorno informazioni affatto rilevanti.
C'è chi, nel mezzo, è disorientato, chi si sente affine a persone mai viste e deliberatamente non saluta i ragazzi del campetto.
Ci ritroviamo confusi, impossibilitati a cancellare amicizie social per non scatenare reazioni inconsulte, costretti a ricambiare follow, attentissimi a non lasciare tracce in agguerrite sessioni di stalking.



Abbiamo una rigida etichetta web e nessuna idea di come reagire nella vita fuori dallo schermo; la trasparenza diventa un problema e non dare segnali tempestivi di interazione è inammissibile.
Vogliamo iperconnessione ma non siamo disposti a mettere in gioco niente di personale.
Certe risposte esigono riflessione, il momento giusto o più semplicemente possono aspettare. 
E in casi estremi basta il coraggio e la responsabilità di una non risposta.

Ed ora....trash.


mercoledì 5 novembre 2014

GIURO CHE NON VOLEVO (Oh mamma voglio anch'io la fidanzata)

OGGETTO: [facebook --> informazioni personali --> relazioni]



Cari miei,

Non volevo disorientarvi con annunci roboanti.
E' stata una sorta di sfida al "non avresti mai il coraggio".
Il mouse si è mosso automaticamente consegnandomi a internet come la peggiore delle bimbeminkia fuoristagione.
Immediatamente sulla mia bacheca FB si è materializzato un anello dalla caratura in centinaia di pixel e le notifiche hanno iniziato a pioevere copiose.



Lasciatemi elencare alcune considerazioni sul fattaccio:
  1. Nonostante voci eminenti del vuvuvù non facciano altro che stilare classifiche su cosa si debba o meno renedere noto con uno status FB (qui) la verità è che la condivisione gossippara rimane più performante nel suscitare attenzione che il famoso pelo di pheebra.
  2. Si potrebbero scrivere trattati dettagliatissimi, pieni di deduzioni brillanti e ricevere neppure una prova di apprezzamento. Si potrebbero anche scrivere geniali equazioni senza riscuotere la minima approvazione.
  3. L'inaspettato: scatenare emozioni incontrollabili in persone a cui voglio davvero bene.
  4. Non c'è regola che regga. Prima o poi tutti faranno qualcosa di social che non avevano previsto di fare.
  5. L'autogossip -o confessione- genera empatia. 
  6. Riscoperta dell'esistenza di persone che credevi morte. E che si manifestano solo per sincerarsi che io abbia realmente ricevuto una proposta.
  7. Bookmakers impazziti.
  8. L'imponderabile: amici che rispondono ad altri amici confermando o smentendo in modalità ufficio stampa.
  9. Adesso come glie lo dico che non sto per sposarmi veramente?
  10. No, non sono fidanzata con un cane.
Non preoccupatevi. Quando sarà il momento troverò il modo per stupirvi. Ancora.

Love,
Saki.



lunedì 3 novembre 2014

Simply figata

Quando qualcosa funziona è necessario denigrarla a tutti i costi se è commerciale?

Sono della snob-fazione che solitamente preferisce i concerti piccoli di gruppi semisconosciuti che poi crescono ed allora "quando li ho visti io eravamo in dieci".
Per i Kasabian faccio eccezione. E la faccio volentieri. Sabato li ho visti per la settima (!) volta, in occasione del tour di 48:13. E si, li ho visti anche quando non eravamo in tanti a cagarceli.
Però il gruppo continua a spaccare e quindi non mi risparmio.

Per chi non sapesse bene di cosa sto parlando, i Kasabian sono un gruppo britannico che fonde il rock a un'attitudine elettronica da oramai una decina di anni.
Sono Serge Pizzorno e Tom Meighan. Insieme, in due e sono una macchina perfetta.
Si, tecnicamente on stage la formula è arricchita, ma il cuore, lo show e l'intuito è affidato a questi due trentenni di Leicester (si pronuncia Les-tah).


(Serge nel 2012 a Ferrara, direttamente dal mio IG)

Dal vivo la band trasmette una botta di energia non indifferente. Il live è serrato, la scaletta si snoda rapida tra ballate e rock con una digressione al limite della denz. Si salta, si suda, si poga, anche se non nella tribuna di cui sono rimasta prigioniera [mai più tribuna, grazie].





Quel che vorrei scrivere oggi, più che una rece del concertone, è un'ode all'occhio di falco del buon Sergio-Serghio Pizzorno e all'agenzia di comunicazione che supporta il gruppo.
Torniamo a Les-tah ed al fonema che compare sulla t-shirt di Serge durante la performance di Glastombury lo scorso giugno; sin dal video di Eeh-ze (altro fonema) abbiamo visto lo skinny-capellone in abbinata di skeleton jeans e maglietta bianca con scritta. E questo a quanto pare è il leit motiv che porta in tour il bel front man.
La cosa assai sorprendente, lungimirante ed assolutamente ruffiana dell'outfit dei Kasabian -sul quale altrimenti non mi sarei mai pronunciata- è la scelta di una serie di vocaboli in lingua a seconda della località ospite della data.
Sabato sera a milano è stato figata, un messaggio, un hashtag e molto altro.


tratto da qui


Figata è una gag, una assonanza nata dalla pronuncia brit del forgotten, che si ripete nel ritornello di Days are forgotten, singolo di lancio di Velociraptor, penultimo album della band; è un tormentone nato e cresciuto sulle frequenze di Radio Deejay e poi riferito e commentato con la band (qui).
"When we are in Italy we're gonna start singing like that" parola di Serge mantenuta alla grande durante il concerto del 1 novembre a Milano, e concetto rafforzato dallo stesso chitarrista che durante l'esibizione di Assago ha sfoggiato proprio una tee con scritto figata.



Ok. A me Goodbye Kiss non fa impazzire. Non mi fanno impazzire gli escamotage per portare dentro alla musica influenze talmente diverse da far affezionare fruitori di generi troppo diversi (si potrebbe definire renzianismo) e in realtà non impazzisco neppure per i nuovi arrangiamenti dei vecchi singoli con gli archi. Però ai Kasabian si vuole bene.

Si vuole bene ai canuti parenti di Serge, arrivati da Albissola qualche minuto prima dell'inizio del concerto, muniti di letture varie per "farsela passare". Si vuole bene agli auguri di compleanno alla mugliera del chitarrista declamati in un italiano malfermo e del tutto simile a quello del cinese da asporto sotto casa -a proposito, vi siete mai chiesti quante volte cada il compleanno della moglie di un musicista in un anno?-. Si vuole bene alla coda da border collie, attaccata agli skeleton-skinny-jeans che fa tanto calci in culo e l'istinto di tirarla per vincere un altro giro è forte.