martedì 27 ottobre 2015

Le Sushettes

Succede, da qualche anno a questa parte, che l'inizio di ottobre coincida con la ripartenza di qualche progetto radiofonico.
Quest'autunno ha portato un singolare e volutissimo regalo.
L'on air di Radio Frequenza Appennino che è la webradio che mi ha tenuto a battesimo e Le Sushettes.

Frequenza Appennino, di per se non sarebbe una novità, se non fosse che durante la scorsa primavera le prospettive della radio della collina bolognese non erano le più rosee. 
Per questo io, Donato, Gimmi e Luca ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo ricostruito con tanta determinazione quella che oggi è una bellissima realtà formata da parecchi programmi e una ventina di redattori. 

E poi ci sono Le Sushettes che più che una rubrica di RFA è ciò che è succede a scontrare due zucche dure: la mia e quella di Sara, la Gee.

Io e La Gee (diminutivo de La Geeri) ci siamo incontrate in maniera piuttosto anticonvenzionale, durante l'unica ricerca via rete che abbia mai effettuato per andare a vedere un concerto.

GS: "Qualcuno va a vedere Elio stasera?"
SG: "Presa!"

Tempo di reazione 10 secondi netti, un record, se pensi che quel presa porta dentro un annusata canina ricolma di curiosità-interesse-ammirazione. Approvata.

Da Elio a oggi, tra me e La Gee ci sono stati:
  • sushi
  • confessioni
  • scambi d'opinioni su materie prettamente femminili
  • birre
  • trash
  • sushi
  • momenti di scazzo condiviso
  • musica anni '60
  • selfie con maschera facciale in corso -il massimo livello di fiducia tra femmine social-
  • risate da sentire in tensione ogni muscolo del corpo
  • video di gatti
  • qualche piantarello
  • sindromi premestruali
  • sushi
  • pacche sulle spalle
  • concerti e scambi di vedute sul mondo musicale
  • suhi
  • drammi esistenziali
  • birra
  • sushi
Per questo fiume di sushi e parole la mia esperienza radiofonica non poteva più fare a meno della Gee, quindi, già dall'anno scorso, abbiamo iniziato a disegnare l'idea che ci avrebbe unite davanti ad un microfono. E per meglio contenerci, questo bozzolo avrebbe dovuto comprendere cose a caso di donne, gatti a tempo di beat, trash, giapponesate e sushi.

Le Sushettes, la creatura di cui vi parlo un secondo dopo averla rodata, è la rubrica che potete ascoltare tutti i martedì dalle 20.00 e in replica il venerdì alle 18.00 su www.frequenzappennino.com.
Io e la Gee vi teniamo compagnia per 60 minuti durante i quali daremo spazio a quella cultura nipponica che ci ha decimato i neuroni durante gli anni '80.
#jappydays #fukushettes #tsingtsing sono gli hashtag che governano il nostro tempo on air, una matrioska di momenti sui quali domina #astrokaiten, l'innovativo metodo di divinazione del kaiten che predice l'andamento settimanale dei segni del sushi.

Vi lascio un assaggio.. la nostra sigla!






lunedì 26 ottobre 2015

Autumn

Ci sono canzoni come foglie.
Alcune hanno venature di colori bellissimi.
Altre scricchiolano nel momento in cui le fai ripartire.
Come foglie le canzoni ti si appiccicano addosso, alcune fanno un mucchio croccante, altre sfaldano e rimangono lacere sotto le suole, altre avvolgono come mantelli regali.

Ci sono canzoni che ascolteresti a non finire, poi la musica smette e il ricordo cancella.
Ci sono tracce fondamentali, appassite, annegate, perdute.
Ci sono melodie che ti tengono appeso e si insinuano dentro ai polmoni. E quando escono fanno un po' male, di quel dolore pungente dell'aria fredda nei respiri invernali troppo profondi.

Ci sono canzoni che odorano.
Sono rimaste a macerare.
Non profumano.

Ci sono soltanto canzoni.

Ci sono canzoni che non conosco, ma sono tutte qui e mi rendono forte e stupida e malinconica.
Melodie suonate piano per amare, graffi di note che sbavano il rimmel, variazioni lente che scavano il cuore.






venerdì 28 agosto 2015

L' Iride ovvero: il potere benefico della parrucchieria.

L'iride è la mia parrucchiera.
Chi mi conosce sa che l'Iride è la mia parrucchiera perché ne parlo spesso: qualche volta la temo e qualche volta la imito, ma la maggior parte delle volte la adoro.

L'Iride è un Guru, il suo salone è una palestra di vita e farsi tagliare i capelli da lei è sicuramente un'esperienza.

L'Iride va aggettivata sempre perché è romagnola e perché è l'Iride.
La prima volta che sono andata da lei era il 2001 e dovevo rimediare a delle meches orrende che mi facevano sembrare una ragazza dell'est; mi disse, con quel suo modo forte e roco:
"Chi viene da me e poi va da altre parti, stai tranquilla che ritorna".
Così fu.

L'Iride ha i capelli biondi e mossi, li tiene fermi con un nastro alla Madonna-like a virgin anche se nell'84 era più grande di Madonna, che l'età delle signore non si dice, ma io devo spiegarvi il soggetto. C'è una complicità tra di noi che è propria delle donne dispari, di quegli spiriti un po' ruvidi a cui non vanno a genio i convenevoli. E passi per quel che mi riguarda, ma il convenevole nella vita di una parrucchiera è pari solo alla quantità di gossip subito, una delle altre cose che ci fanno cagare.

L'iride è inarrestabile: nella sua vita non ha mai smesso di aggiornarsi, di andare a Londra a seguire le nuove tendenze e i nuovi colori, che è una cosa semplice se ci pensi, ma mica tutti lo fanno. Quando parte per un aggiornamento si gasa e quando torna è un uragano con le forbici in mano, ma poi le vien la malétta.
- Sai cos'è la malétta in romagnolo? E' quando c'hai due maroni talmente grandi che ti strisciano per terra.-
Te lo credo, anche a me verrebbe se tornata dal corso di Toni & Guy avessi decine di cachet azzurrini da fare alle vecchiette.
E allora quando vado dall'Iride lei è contenta, perché abbiamo stretto un sodalizio che si colloca a metà tra la nipotanza e la subordinazione cavia-scienziato pazzo.
Quando voglio far crescere i capelli, sento che è come se la deludessi un po'e le mie richieste vengono accontentate con mestizia. Quando voglio cambiare l'Iride c'è, si illumina, tira fuori tutti i suoi cataloghi, propone ed esclama "Te lascia fare alla tua vecchia!".

I tagli dell'Iride sono a buon rendere, nel senso che danno il meglio con il tempo e solitamente sono perfetti a due settimane dalla seduta.
Durano tre mesi. Non un giorno di meno, ne uno di più. C'è un tempo tecnico in cui il taglio "sfiorisce" ma comunque per un bel po' stai sereno.
I tagli dell'Iride non fanno per te se vuoi un carrè, le lunghezze tutte uguali o se non puoi soffrire l'asimmetrico.
Tendenzialmente l'Iride fa quello che vuole lei perché è più brava dei clienti a capire di cosa ha bisogno un viso e se hai delle aspettative di avere "i capelli come" allora lascia perdere perchè lei scava e sfila con quelle forbici fino a trovare il tuo viso. Non quello che avevi immaginato, ma quello che hai. E lo sa fare davvero bene.

Così stamattina sono andata dall'Iride e le ho chiesto di cambiare.
Le ho spiegato come, le ho proposto un asimmetrico e l'ho vista caricarsi dell'entusiasmo di un bambino.
Com'è andata decidetelo voi.
Io mi sento come se qualcuno mi avesse tolto di dosso una coperta pesante.













martedì 25 agosto 2015

Ironic

Il refrain dell'ironia -accessorio indispensabile fornito direttamente nella scatola del vùvùvù- arriva sempre puntuale da chi non ha neppure letto la definizione da dizionario.
Ve la fornisco io, cari. Così non dovete fare lo sforzo mondieau! di aprirlo, il dizionario.

Ironia
i·ro·nì·a/ sostantivo femminile
Alterazione spesso paradossale, allo scopo di sottolineare la realtà di un fatto mediante l'apparente dissimulazione della sua vera natura o entità

Lo scudo dell'ironia.
Il toccco-blu-non-gioco-più dei quasi grandi.
Uno specchio riflesso, una tana, un pace libera tutti che poi non libera un bel cazzo di niente.
Una qualsiasi di quelle paroline magiche che, piccoli, liberava da ogni male.

Tua madre è puttana --> ironia
Morti di figa --> ironia
Troia --> ironia

Tutte le offese del mondo, attraverso la bacchetta magica dell'ironia dovrebbero diventare piacevoli calembour, secondo chi la utilizza a casaccio.
E per di più, ogni volta che si  prova a fare luce sull'essenza di questo vocabolo si viene tacciati come stronzi permalosi e ottusi.

Insomma, se sei buono ti tirano le pietre, etc.

Per non parlare poi delle morti celebri, della politica, del calcio e di tutte quelle cosucce di cui pullulano i social e che, nel giro di tre commenti, finiscono a coltellate virtuali.

Per facilitare quelli che proprio non ce la fanno mai, nemmeno una volta nella vita, ho pensato a un piccolo schema per capire se è  davvero ironia oppure merda.





























Ed ecco il consueto video, un po' ovvio a questo giro, ma mi perdonerete.



domenica 23 agosto 2015

L'estate sta finendo

L'estate agli sgoccioli ha sempre fatto schifo, perché il tempo si rompe, va in pezzi, ti toglie calore e certezze.
Toglie certezze anche non trovare nulla di buono nell'armadio e trovarsi vestiti random ma coi sandali aperti nelle pozzanghere.

Io me la ricordo, dell'estate finita, dai tempi dei Righeira.
Avevo pochi anni, ma ripetevo quelle parole trovando loro una forma.
L'estate sta finendo - un'alternanza stagionale inedita.

Sto diventando grande, lo sai che non mi va.

Queste parole mi sono scese nel petto da bambina, non perché siano dense di poesia o ricercate o importanti, ma solo perché mi costringevano a constatare che effettivamente a ogni ascolto un anno era passato.

Così ci risiamo anche oggi, pronti a celebrare con mestizia il rito della vigilia della fine dell'estate.
E come sempre il porto sicuro di ogni moto di malinconia è lo specchio sociale che il mondo del vùvùvù ci mette a disposizione.
Forse perché la nostalgia, oltre a essere canaglia, crediamo ci lasci un alone di mistero addosso, ci renda più appetibili o ci regali quel tratto caratteristico di cui fondamentalmente siamo privi.

Allora via al compianto:
Solamente martedì scorso eravamo qui *foto in costume o panorama istigatore di violenze*
Domani si torna in ufficio *lacrimuccia*
Non posso credere sia tutto finito

Non puoi credere sia tutto finito. Io invece posso.
Ma che cazzi, sei stato in vacanza un mese filato, hai fatto più tappe di Mr. Fogg nel Giro del mondo in 80 giorni! E nonostante tu abbia visitato solo luoghi esteri, hai aggiornato status su tutte le piattaforme social in tempo reale, minuto per minuto.
Dimmi, hai dovuto vendere un rene a TIM oppure caghi Wi-Fi?
No perché io ho fatto molta fatica durante le giornate di rovesci temporaleschi, che hanno occupato tre quarti della mia vacanza, a trovare una sola connessione stabile.
E no, non volevo un Wi-Fi per postare le mie foto in costume, volevo solo scrivere a mia madre che nonostante

- la cistite
- le inondazioni
- le cavallette
- il mal di gola

era tutto ok e che, anzi, ero felice.
Sono felice.

Quindi, no, non mi appassionano le finte mestizie per la fine dell'estate e i valzer sulla fugacità delle vacanze estive non mi appartengono.

Sto diventando grande, lo sai che non mi va.




PS: ma che fatica trovare una cover di questa canzone. Stavo per cantarvela io.

domenica 9 agosto 2015

The Letter

Ciao F,

Come stai?

Volevo dirti che forse ieri c'erano le quadrature astronomiche giuste, forse è stato il caldo al quale stiamo attribuendo colpe di tutto, forse non lo so nemmeno io.
Fatto sta che mi sono ritrovata a mandare quella mail di cui parlavamo l'ultima volta che ci siamo visti.

E' strano pensare a tutte le parole invisibili che si nascondono dietro a comunicati sintetici.
Queste lettere gonfie come fagotti, ricolme di messaggi soltanto pensati, pesanti di tutto quello che non bisogna scrivere.

Mail traboccanti vento come vele spiegate.
Un' assurdità di pixel e mare.

Forse è il caldo al quale stiamo attribuendo tutte le colpe.

E' consolante credere che ci siano momenti circostanziati in cui davvero la vita può finire da un'altra parte, dalla parte giusta, soltanto premendo invio.

Io penso che non esistano un prima e un dopo nel fare le cose, che le cose le fai esattamente quando puoi farle. Può sembrare una visione fatalista, e probabilmente lo è. Ma alla fine va sempre come dico io. Le cose accadono quando possono. Siamo noi che per paranoia ne facciamo una questione di prima e dopo.

Forse è il caldo al quale stiamo attribuendo tutte le colpe.

Ti lascio e ti ringrazio per parole vecchie di anni, che hanno viaggiato, si sono perse ma sono tornate alle mie orecchie nel momento preciso in cui servivano.

Vado a dormire e col cuscino girato dalla parte dei piedi, altrimenti non è vero caldo.

Bacio,

G


mercoledì 5 agosto 2015

#penisgate. Soffrire le pene per colpa del pene.

Non so se il pene porti pene, sicuramente porta scompiglio.
Specialmente se il pene in questione è attaccato ad uno degli uomini più sexy del pianeta.

Sto parlando di Lenny Kravitz, icona del rock internazionale, che durante l'esibizione di Stoccolma si è trovato letteralmente nudo sul palco a causa di un cedimento strutturale dei pantaloni in pelle super aderenti.

Il web si è commosso, indignato, nobilitato, crowfuso contemporaneamente.
Fioccano le condivisioni e sfottò.



Le cyberfemmine sono le più agguerrite: centimetro alla mano misurano, scrinsciottano, moviolano ancora ed ancora ed ancora il pistulino del Lenny.

E' graande, è piccolo, ha il piercing.

E nelle orecchie ho ancora il #YoLaTengoComoTodas della Pausini, che aveva mostrato le pudenda altrettanto accidentalmente, e invece era stata accusata di fare marketing disonesto.
Dalle stesse donne che hanno riguardato frammento per frammento il video di Lenny desnudo, inforcando il monocolo da orefice.



Dopotutto pensavo meglio.

Certo, dobbiamo fare i conti con un feticcio svelato. Le migliaia di donne che sognavano segretamente l'intimità di Kravitz devono fare i conti con una fisicità rivelata che probabilmente non le soddisfa quanto le fantasie chilometriche esenti da piercing.

E se le star si rivelano non all'altezza -o sottodimensionate- una soluzione sana e poco costosa c'è:
Signore, stasera smutandate vostro marito.


Lunga vita a Steven Tyler.


martedì 4 agosto 2015

La filanda, ovvero le madrideglialtri.

Le madrideglialtri son sempre più verdi.
D'invidia.
Signore madri, non capisco perchè.
Noi ragazze dei vostri figli non aspettiamo altro che un vostro cenno di assenso.

Madri, non mettete il naso.
Tagliatevelo, il naso.
Farebbe meglio a voi e ai vostri figli.

Le madrideglialtri sono esseri volubili.
Esseri mitologici a metà tra l'arpia e il Giano Bifronte.
Passano tutta la durata della storia che avete con il loro figlio a insinuarsi con il piede di porco tra voi e piangono lacrime amare quando ve ne siete andate.
Le madrideglialtri sono essere imperfetti ammantati in un alone di malinconia.

Siete indispensabili quando c'è da dare ragione nelle liti a tavola, e perfettamente inutili un secondo dopo.
Nel mio caso, la madre dell'altro, si aspettava che potessi fare l'ago della bilancia nelle faide famigliari. Credeva che io potessi perpetrare il suo rituale di disgregazione portato avanti anni, per ristabilire definitivamente la sua suprema Ragione e trasformare la sua vita in un eterno deserto.

Le madrideglialtri amavano analizzare le mosse della mia famiglia in maniera scientifica. Probabilmente avevano un taccuino su cui annotare le risposte agli interrogatori cui ero sottoposta. E poi amavano chiedere spiegazioni per tutte quelle azioni che portavano sgomento alla sua logica.

Le  madrideglialtri mi hanno fornito spunti sui quali potrei scrivere interi libri. Hanno forgiato il mio carattere e mi hanno suggerito cosa realmente non voglio.

Le madrideglialtri sottolineavano sempre e comunque che il proprio figlio non le avrebbe lasciate perchè "un figlio è per sempre".
Le madrideglialtri avrebbero fatto meglio a cagare un fottuto De Beers.

NB: Ogni riferimento a fatti, cose o madri degli altri è puramente casuale.
Nessuna madre degli altri è stata maltrattata prima, dopo o durante la scrittura di questo post.
NBI: La mia mamma è differente.



martedì 28 luglio 2015

Pink

Succede che, a Bologna, qualcuno si sia sentito talmente offeso dai magnifici manifesti di Viale Masini da decidere di cancellare nottetempo peni, vulve e seni sfigurando un intervento artistico di indubbio valore.



Pensate quanto devono sentirsi potenti quei peni, quelle vulve, quei seni, sotto la coperta di vernice. Semplici immagini in bianco e nero, senza occhi e senza volto, hanno mosso un drappello di benpensanti. 
Li hanno fatti uscire di casa
Li hanno guidati fin da Leroy Merlin.
Hanno fatto versare denaro sonante
Li hanno fatti venire a loro e agitare le braccia probabilmente di notte. 
Probabilmente in punta di piedi. 
Probabilmente traboccanti giustizia per il gesto coraggioso che assicura le pudenda al luogo buio cui appartengono.

Noi ci abbiamo perso.
Non solo per lo sfregio a un intervento temporaneo ma interessante.
Ci abbiamo perso per mano della prepotenza del perbenismo.

E per concludere ci tenevo a scrivere ancora pene, vulva, seni. Oppure cazzofigatette, che gli aulicismi non fanno per me.




martedì 30 giugno 2015

Over the rainbow

[#LoveWins è la storia di un contagio colorato e verace.
È la felicità del diritto che supera il pensiero  retrogrado e porta emancipazione schiacciando il pregiudizio. È l'unità dei 50 stati più influienti del mondo. È la speranza che soffia e sussurra all'orecchio di chi sa ascoltare "siamo tutti uguali".]



In questi giorni stiamo assistendo ad un fenomeno alquanto pittoresco, che nasce oltreoceano, si diffonde rapido sulla cresta dei social e si presenta fiero.
Per studiarlo non occorre andare lontano, basta proiettare lo sguardo all'origine dell'arcobaleno. Quell'interregno fantastico governato da nani che nascondono pignatte d'oro, Minipony e Orsetti del cuore.

La moltiplicazione del gay è un fenomeno che si propaga nei peggiori bar di provincia, in piazza, al supermercato, durante incontri occasionali sia  formali che informali. La sua folle corsa non pare dare segni di arresto.

Ultimamente tutti hanno amicighei, ma guarda caso ne hanno di più quelli che in fondo hanno paura.
Hanno amicighei quelli che li buttano in apertura nel discorso, specificando che sono tanti, come per incutere un po' di soggezione. "Ho tanti amicighei.." e te li trovi in assetto di piramide umana, issati a mo' di scudo. Praticamente un muro di Berlino, ma con più stile.
Quelli che hanno più' amicighei di tutti sono quelli che continuano la frase con un però.
Un però netto e pesante, tagliato con il coltello come a segnare una trincea.

"Di là amicighei! 
Andate tutti là.
E rimaneteci, che qui si sta stretti."

Così su Facebook e Twitter sono giorni d'inferno in cui la cronaca s'accosta a italianismi funambolici infarciti di opinioni inesatte.
Tutti dietro a ticchettettare su tastiere esauste 50 sfumature di bestialità riguardo le quali, sono certa, gli amicighei non sarebbero troppo d'accordo.

Tirateli fuori tutti questi amicighei!
Voglio guardarli mentre prendono le distanze da voi, che li definite amici, ma non pari a voi stessi.

Poi ci sono i figlinipotifratellighei, che sono una variante raffrorzativa, introdotti coattamente nel discorso al grido di "preferirei un figlionipotefratelloghei piuttosto che". Piuttosto cosa?

Spoiler:
"preferirei un figlionipotefratelloghei piuttosto che" non è una frase di apertura. Non sei tollerante e non avrai il nobel per la pace. Ritenta, sarai più fortunato.

figlionipotefratelloghei sono nascosti nei discorsi a maggior tasso di disagio, e sono il frutto della fantasia di gente che spesso non merita ne' un figlio, ne' un nipote, ne' un fratello.

Immagino tavole domenicali popolatissime, presidiate da nonne molto avanti che cucinano matasse di tagliatelle al ragù, tortellini, lasagne fumanti e ogni tipo di leccornia che un nonna possa cucinare ai propri figlinipotifratelli. Che sono semplicemente figlinipotifratelli, quindi degni di essere rimpinzati di cibo grasso.


E adesso cantiamo insieme...


Bonustrack!




giovedì 8 gennaio 2015

Povero Charlie

Povero Charlie.

Povere matite con la mina spezzata, con la voce rotta, con le ginocchia sporche di vetro e sangue.
Poveri noi che restiamo con la voce altrettanto rotta.
Con la stupidità che ci scorre nelle orecchie, con gli occhi pieni di controsensi e clichè.

Rimbombano i golf anonimi di Salvini a cui tanti si stringeranno e a me si stringe il cuore a pensare a chi lo farà.
Quel che fa più rumore sono le bocche cucite, e il fatto che non sappiamo reagire ad una violenza così antica che vieta l'espressione.

Povero Charlie e poveri noi che rimaniamo quasi intonsi ma comunque impregnati di violenza. L'orrore entra sordo dalle immagini che non ci fanno più male, dai filmati di uccisioni inevitabili come i temporali primaverili.
Poveri noi che saltiamo da un lutto all'altro senza sapere dove convogliare la nostra sofferenza, senza sapere da cosa difenderci e quale nome dare alla nostra paura.

Povero Charlie e poveri noi, che alla fine scordiamo tutto.
Anche le tette di Belen offerte in omaggio votivo, che han fatto incazzare il web ma noi un po' di più.




lunedì 5 gennaio 2015

Shit detector

Ciclicamente incontro personaggi che riescono a convincermi della mia totale incapacità. E utilizzano una persuasione così sottile e materna che è praticamente impossibile mantenere qualcuna delle certezze faticosamente conquistate in trent'anni di vita. E' come un'ipnosi totale che mi culla e mi avvolge come un bozzolo dall'interno del quale divento imbranatissima e impacciata fin nel midollo.

Ok, l'autostima non è il mio forte.
Ma quando riprendo coscienza di me, mi ritrovo accartocciata come i ragni con le zampe lunghe colpiti dal getto d'acqua della doccia ormai prossimi ad un giro di giostra attraverso le tubature.

L'irragionevole dubbio mi tocca ad ogni rimostranza, allora ripercorro, analizzo e forse mi lascio convincere del torto compiuto. Ma è un lavoro stancante, un surriscaldamento di rotelle, un garbuglio nel quale non considero mai la malafede del pulpito da cui incessante arriva la predica.
Se avessi fatto una lista di buoni propositi, quest'anno mi regalerei il distacco e qualche punto fermo in più. Un cannocchiale da usare al contrario per allontanare le cose e vederle chiare, pur essendoci ancora terribilmente vicina.

La fiducia nel prossimo ed il sistematico dubbio su me stessa sono errori che compio sistematicamente e amo applicarlo scientificamente in tutte le micro e macro situazioni di tutti i giorni.
Così, nell'anno appena chiuso ho collezionato una bella quantità di pacchi, che essendo ancora in periodo natalizio potrebbero sembrare almeno ornamentali, invece no.

Ho creduto ciecamente alla buonafede di sconosciuti, come all'assoluta ragione di chi voleva per diritto mettermi i piedi in testa e difeso a spada tratta chi pretendeva ancora dopo aver già preso a piene mani.

Credo di non poter rinunciare alla fiducia che ripongo nel prossimo. Sono troppo empatica per sottrarmi al meccanismo di immedesimazione. Probabilmente mi manca "quella" rotella nel cervello. Allora forse mi servirebbe un rilevatore di stronzi.

L'immagino spigoloso, dal gusto retrò anni '80, con lancette e segnalatori acustici. Molto simile al rilevatore di attività psicocinetica di Egon ne "I Ghostbusters". Quelle antenne che non ho, luminose, iper-reattive  tutte tese ad ascoltre le profonde inclinazioni degli interlocutori.
Il mio rilevatore avrebbe range precisissimi in cui collocare le cinquanta sfumature di merda: dallo stronzetto al pezzo di merda, passando alla colata diarroica alla fece caprina. Nessuno capirebbe il perché di tanta attenzione ad uno scatolone del genere ed io gongolerei segretamente al comparire di ogni epiteto immaginale sul display a cristalli liquidi a pixel di 3 mm per lato.
Un rilevatore di stronzi. Il perfetto oggetto per un vivere più quieto condotto azzerando la dissipazione energetica.

Forse è presto per scrivere nuovamente a Babbo Natale, ma ci sto pensando seriamente.



giovedì 1 gennaio 2015

L'anno che verrà

Esiste uno strano motivo per il quale sul finire dell'anno si fa una conta di morti e feriti.
Si stilano classifiche, si prendono appunti, si ripassano gli ultimi 365 giorni per avere una esatta stima del quantitativo di merda accumulata sul parabrezza della vita.
C'è una sorta di accanimento tragicomico nel selezionare e rivivere tutti i "meno" degli ultimi tempi per capire fino a che punto possa spingersi l'autocommiserazione, salvo poi sbarazzarsi di una zavorra nemmeno troppo simbolica e brindare ammiccanti al #primoselfie2015.

Non sono immune a questa sindrome, io come tutti, in questi giorni ho rimuginato. Tra un malessere e l'altro, senza neppure arrivare al selfie che non avrei fatto comunque.
Mentre pensavo a perché gli anni che cominciano debbano essere migliori, sono stata colta da una ovvia considerazione.
La positività è un gesto semplice che dobbiamo a noi stessi.
Non c'è nulla di male nel pensare che le cose possano essere diverse e migliori. Ci si sente meglio e liberi dalle nuvole pesanti prodotte da un vortice di pensieri nefasti, pronti a partire e muovere le montagne.

Non è stato un anno leggero. Da qualsiasi punto cerchi di guardarlo, sono stati mesi complicati in cui ho dovuto scontrarmi con la crisi, il lavoro, la burocrazia e tutte quelle cose serie da telegiornale.
E' stato un ciclo concluso però. Ho -abbiamo- un foglio nuovo e pulito che merita di essere iniziato con la migliore delle grafie.
Questo è il mio augurio a tutti voi.
Abbiate il coraggio di scrivere ciò che volete, scegliendo le righe che volete. Disegnate al netto di strascichi e malumori. Leggete con occhi nuovi e ringraziate sempre.

Io, per concludere, voglio segnarmi qui le cose preziose che mi lascia in eredità l'anno che muore, dimenticando tutto il resto.


  1. Il cofanetto di Murakami che devo ancora iniziare
  2. Il tasto reset per le situazioni complicate, non sempre funziona ma è bello sapere di poterlo usare
  3. Tre lavori diversi, professionalità diverse, esperienze diverse
  4. Una squadra a cui appartenere e con cui fare l'impossibile, anche se per poco
  5. Un capo che entra nel cuore e rimane capo anche quando il lavoro insieme finisce
  6. Aiutare le persone, anche al prezzo di scoprire di aver preso granchi
  7. Ritrovare amici cari e sapere che gli anni mettono solo la polvere sul cuore, ma non cambiano le persone
  8. Rocco, non il mio gatto e neppure l'esperto di tuberi, il migliore che potessi desiderare 
  9. Un nuovo programma alla radio, nuovi progetti e nuove idee..e la giusta compagna di malefatte
  10. I miei amici e la mia famiglia: selezionatissimi portatori di grande valore.




Di questa non ho trovato il video, purtroppo.