mercoledì 16 luglio 2014

#unaltrofestival

Sono reduce da una due giorni molto intensa, particolarmente piena di tutto.
Imprevisti, lavoro, musica.
Soprattutto musica.
Un'immersione nella musica totale, galvanizzante, rigenerante.

#unaltrofestival
Un festival, un altro. Infrasettimanale. 
Infrasettimanale? Si.
Pazzesco. Uscire dall'ufficio per abbracciare il roccherrol è una prospettiva inedita che dona la forza di sette leoni.
Bolognese, in cui la mia città si riconferma ombelico e buco di culo. Ma ci stà.
Fieristico. Non troppo poetico, ok.. Ma nel cuore della fiera si sta un po' come in aeroporto: con lo stesso fermento, con la stessa curiosità.

Grazie al Covo Club, che crede nelle novità e ci tiene a confermare Bologna come miglior meta hipster d'Europa.
Grazie al Covo Club perché è casa almeno quanto Barilla.
Grazie al Covo Club che è fatto di tanta gente cazzuta, che cazzutamente ha creduto, cullato e messo in piedi un festival coi fiocchi. Grazie a quella gente cazzuta che s'è sentita figa ma ha strappato biglietti e spazzato a fine serata come sempre.
Grazie al Covo Club perchè ha regalato due line up internazionali da gustare con la stessa intimità della propria cameretta.

Day#1 The Horrors



Day#1 Dandy Warhol



Day#2 His Clancyness feat la K


Day#2 Panda Bear


Day#2 MGMT





domenica 6 luglio 2014

Tropicalia

Ad un certo punto della mia vita, ascoltare la radio è diventato fondamentale.

Stavo preparando la tesi ed ero nel mezzo del niente più assoluto, nel punto in cui non sei più sicuro di come ti chiami e sei quasi certo che se tutti gli altri ce l'hanno fatta, tu no.
Passavo le giornate aggrappata ad un gigantesco punto interrogativo, ma accendevo la radio e istantaneamente l'ansia zittiva.
Così per giorni: tutto il palinsesto, comprese repliche notturne.
Ascoltavo, disegnavo poco, ridevo e scrivevo in redazione.

La prima volta che ho parlato con Anna stavo andando a fare revisione di tesi.
Lei si era laureata da poco e io, nel mio ritardo, ero ad un paio di mesi dal traguardo. Ci siamo rincorse al telefono un paio di giorni poi ero lì, a parlare con amici delle mie vacanze a caccia di Beatles.

Ci ho messo un paio d'anni a decidermi ad andare a trovarli questi amici.
Mi sentivo timorosa per tanti motivi. Si trattava di andare nel posto che avevo cominciato a sognare a dodici anni, e già questo era una operazione ad alto rischio; poi, mi dicevo, è il loro lavoro, magari non importa a nessuno quel che ho da dire.
Invece un paio di casualità mi hanno portato dritta in via Massena nel vivo di una cena tropicalista.

[Per chi non ascolta Tropical Pizza, lo slang con cui la ciurma si esprime è una sorta di gramelot autoreferenziale incomprensibile, mentre una volta abbandonata la diffidenza è morbido come un cuscino]

E allora cena con una ventina di personaggi singolari, ognuno dei quali entrato prepotentemente nel mio quotidiano con energia inaspettata.

E' incredibile pensare che un programma radiofonico possa aver cresciuto un materasso di corrispondenze così sentite.
E' fantastico pensare che questo programma sul materasso ci faccia i salti, come i bimbi sul matrimoniale dei genitori, e che si diverta altrettanto.
E' meraviglioso pensare che chi fa il programma, sceso dal letto, non cambi di una virgola il suo approccio alle cose.

Non fraintendetemi, ho usato cuscini e letti per descrivere quanto di più lontano dal soporifero io conosca. Sono pigra io, Anna, Fosca, Aldino, Francesco e Fabrizio non c'entrano nulla.

Io ragazzi vi ammiro.

Prima di tutto perchè fate il mestiere più bello del mondo e lo fate sempre con stile. 
Perchè l'energia che ci mettete tutti i giorni sfonda le casse (o le cuffiette) ed arriva puntuale, meglio del ginseng o la pappa reale. 
Perchè il cuore non ve lo risparmiate mai.
Perchè avete il superpotere di trasformare in rock tutta la musica che passa tra le vostre mani.

Ogni anno, quando Tropical Pizza chiude per ferie mi sento un po' sola.
Quest'anno è il sesto.






Grazie


giovedì 3 luglio 2014

Andare, camminare, lavorare

Studiare anni per non potersi permettere il proprio lavoro.

Investire, perfezionarsi, impegnarsi.

Fare tardi
Fare di più
Fare presto

Extra time 
Extra budget
Extra ordinario

Da quando il lavoro è privilegio occorre guadagnarsi il lavoro.
Non guadagnarsi da vivere, ma vivere caparbiamente trattenendo con tenacia il lavoro su se stessi.
Creare, rincorrere ed inchiodarsi alla scrivania.

Merito il lavoro.

Certo che quando desideravo realizzare qualcosa con la mia voce, non pensavo esattamente ad un call center.



mercoledì 2 luglio 2014

Mio fratellino ha scoperto il rock'n'roll

Sapevo che i miei trent'anni sarebbero arrivati a chiedermi il conto, prima o poi.
L'hanno fatto ieri sera, senza preavviso, quando per la prima volta ho detto no al pogo selvaggio infrasettimanale.
Eppure oggi il pensiero del mancato sudore mi infastidiva.
Quello di ieri è stato un concerto denso di pensieri.
Un orecchio ai testi, che ogni volta raccontano un tassello mai uguale della stessa storia, un sorriso agli amici e il cuore per mio fratellino.

I tre allegri ragazzi morti sono uno dei gruppi di cui ho visto il maggior numero di concerti.
Quando dividevo la stanza col brother c'erano poche certezze: una era il poster dei TARM, che sarà rimasto fisso alla parete per almeno cinque anni. mentre le tette delle signorie vostre scandivano i mesi contendendo centimetri quadri d'intonaco ai peggiori fumetti geek.
Ai fratelli si dice sempre di no.
Almeno finchè sono mediamente piccoli e soprattutto se sono saccenti e fastidiosi come il mio.
Si dice quel no che è un implicito si.
Si smentisce e si ritratta negando davanti all'evidenza peggio che agli amanti.
Si dice di no perchè sarebbe scontato dire di si e dare in pasto ad un adolescente in subbuglio ormonale tutto il bene che ti esplode dentro.

Perciò NO, a me i tre allegri ragazzi morti dovevano far cagare.

Perchè c'è sempre stata questa spartizione netta dei compiti di casa e delle caratteristiche perciò se i nostri genitori ti hanno fatto genio della matematica, almeno a me deve rimanere l'indiscutibile gusto musicale. Eccheccazzo.

E poi succede che le posizioni nette si sfumano come acquerelli bagnati.
- E allora sai che sti rocchettari non sono male.-
- E allora dai, si va al concerto insieme.-
- Anche se tu pensavi che gli Smiths avessero coverizzato Dimmi?-
- Anche.-

Posso riconoscere il primo punto di contatto tra me e lui nei tre allegri nel momento esatto in cui si valica il confine io Barbie, tu tartarughe ninjia, io serie televisiva tu ginnica fetida.
Quando oltre ad un fratello pedante e minore trovi, grattando, l'individuo con cui infondo ti divertirai una vita.

Da lì tanti concerti, tanti occhi bassi.

E lo so che da sotto la giacca con la quale si infagotta ogni mattina, io e lui non saremo mai come voi.






martedì 1 luglio 2014

Army of me

Forse di due occhi così stretti non ci si poteva fidare.
Di quelle fessure gelose, che non amano lasciarsi guardare.

A quelle feritoie non sfugge nulla.
Hanno abachi ed enciclopedie severamente codificate, piene di indagini ed approfondite introspezioni sulla fascinazione della solitudine.
E a quella glorificazione della singolarità hanno donato idoli di cani soli, con occhi languidi e soli. Bambini soli che giocano soli con oggetti che solamente loro conoscono. E piante, e animali, e creati soli.
Forti nella loro disperata solitudine.
Visibili nel loro isolamento.

Forse neppure dei menti rotondi ci si può fidare.
Della puntualità nel mancare la perfezione.
Dell'ostinazione nel voler essere fuori e con qualcuno.
Della distrazione.

Ma si può oggettivamente constatare la dissonanza e la disarmonia di quell'andare. Goffo, affrettato e pigro insieme.
Da fiatone, sospiri e sbuffi annoiati.
Un passo leggero per non disturbare e pesante nel solco del non avanzare.